
Cos’è la Great Resignation
La Great Resignation è un fenomeno registrato a partire dall’Aprile 2021, negli Stati Uniti: moltissime persone, a partire da allora e almeno per tutto l’anno, avrebbero lasciato volontariamente il loro lavoro. In Italia il trend sembra meno accentuato rispetto a quanto rilevato in USA e nel Regno Unito, tuttavia i media ne hanno dato ampio spazio.
Chi si è licenziato
I primi dati mostrano che non tutti i settori ne sono stati interessati allo stesso modo. Le dimissioni di massa si sono verificate soprattutto nel settore della ristorazione e del turismo, nel retail, nell’ambito della salute e in aziende ad alto tasso di innovazione (quindi degli ambiti tech e informatico). Il fenomeno, dunque, ha interessato sia settori indubbiamente penalizzati dalla pandemia, sia aziende che invece hanno visto esplodere i loro fatturati.
Quali sono le motivazioni alla base delle dimissioni di massa
Moltissimi studiosi del lavoro, economisti e psicologi hanno provato ad interpretare le motivazioni alla base delle dimissioni di massa, ancorché avvenute in un contesto così particolare come quello della pandemia.
Per molti, infatti, era prevedibile una consistente perdita di posti di lavoro (cosa in effetti verificatasi), mentre era meno scontato il fatto che molte persone si licenziassero da sé.
Le posizioni a riguardo non sono concordanti e alcuni mettono in discussione l’esistenza del fenomeno stesso. Si possono individuare almeno due tipi di interpretazioni, entrambe a mio parere plausibili e con elementi di verità.
La prima sostiene che sia stata data troppa enfasi alla Great Resignation: i picchi di dimissioni volontarie sono ciclici nella storia, specialmente a fronte di profondi periodi di crisi. Quello che osserviamo oggi è uno di questi e non rappresenterebbe nulla di nuovo.
La seconda posizione sostiene che si tratti di un trend nuovo, carico di significati su cui sarebbe bene soffermarsi.
Non c’è nulla di nuovo: è il mercato che si muove.
I primi basano le loro convinzioni prevalentemente sull’analisi delle serie storiche. In questo modo riescono a dimostrare che il fenomeno non è nuovo e come alla base non ci siano particolari bisogni intimi e sociali, se non un sano opportunismo, oppure semplicemente l’impossibilità di mantenere la propria occupazione. Questi autori sostengono infatti che i lavoratori abbiano lasciato il loro vecchio impiego per un nuovo contratto meglio pagato, mentre altri (donne, persone di colore, lavoratori a bassa specializzazione, …) siano stati travolti dalla pesante crisi conseguente al Covid. La posizione acquisisce solidità soprattutto pensando al mercato del lavoro statunitense, molto più dinamico del nostro.
La Great Resignation sarebbe un fenomeno del tutto normale e prevedibile, una sorta di turn over.
In Italia, per giunta, incombe il dubbio che molte dimissioni volontarie non siano tali, ma siano state più o meno caldeggiate dai datori di lavoro; tra le donne inoltre è plausibile che il pesante gender pay gap e lo squilibrio nello svolgimento del lavoro domestico abbia portato molte lavoratici ad abbandonare il proprio lavoro anche se non avrebbero voluto farlo.
Le cose stanno cambiando: le persone vogliono trovare “il senso del lavoro”.
La seconda interpretazione, invece, mette l’accento su altri dati già noti ben prima del Covid19 e guarda al risvolto sociale e psicologico della questione.
Alla base delle dimissioni volontarie di massa ci sarebbero: scarsa soddisfazione per il proprio lavoro, alti livelli di ansia correlati ad una sempre più incalzante competizione, leadership deboli, ambienti di lavoro tossici, stipendi sotto le aspettative, difficoltà a far carriera, disallineamento tra i valori personali e aziendali e molti altri fattori che procurano rilevanti dosi di stress ai lavoratori.
La pandemia, e i lockdown, avrebbero permesso alle persone di capire che una vita diversa è possibile. Molti di loro avrebbero avuto il tempo e l’occasione per stilare un nuovo elenco delle priorità, che avrebbe li portati ad abbandonare il proprio impiego in cerca di qualcosa di migliore (spesso proprio sotto il profilo della qualità di vita). Alcuni avrebbero anche provato il piacere di guadagnare meno e dunque di avere e fare… meno.
In questo senso la Great Resignation non fa parte di uno dei tanti eventi a cascata conseguenti ad una crisi economica – o almeno non è solo quello. Le dimissioni di massa, invece, starebbero a segnalare che qualcosa si è rotto all’interno del mercato del lavoro e che non riguarda esclusivamente le retribuzioni e i benefit, ma il senso del lavoro stesso.
Fonti
- The Conversation, The ‘great resignation’: Historical data and a deeper analysis show it’s not as great as screaming headlines suggest
- SHRM, Interactive Chart: How Historic Has the Great Resignation Been?
- The Guardians, Quitting is just half the story: the truth behind the ‘Great Resignation’
- InOnda, La7, Great Resignation: il fenomeno spiegato dal Prof. Galimberti
- Sole 24 Ore, «The great resignation»: 4 motivi dietro il boom di dimissioni dei lavoratori italiani
- HBR, Who Is Driving the Great Resignation?
- La Stampa, “Great Resignation”, anche in Italia sempre più persone lasciano il lavoro
- MITSloan Management Review, Toxic Culture Is Driving the Great Resignation
- Adapt University Press, Grande dimissione: fuga dal lavoro o narrazione emotiva? Qualche riflessione su letteratura, dati e tendenze. Brunetta, Tiraboschi.
- Censis, Lavoro: la Great Resignation italiana è rinviata