
Lo studio Social Protection for Independent Workers in the Digital Age, della Fondazione de Benedetti, affronta il tema della gig economy descrivendone caratteristiche e conseguenze sociali.
La gig economy comprende quella modalità di lavoro che vede i lavoratori, di solito gestiti da piattaforme online, senza particolari vincoli contrattuali e che possono svolgere le mansioni più diverse: dal rider che consegna la pizza, alla traduttrice che accetta un testo, al moderatore di pagine social, al mystery shopper.
La definizione di questo tipo di occupazione, fluida e nuova, sfugge infatti alle storiche categorie utilizzate dagli istituti statistici, che si stanno quindi attrezzando. Questo studio descrive le dimensioni e le caratteristiche di questo gruppo di lavoratori ed è particolarmente interessante, anche perché è una delle poche fonti dati disponibili.
La ricerca confronta i lavoratori della gig economy con i lavoratori indipendenti in Italia e Regno Unito, indicando per ognuno la composizione socio demografica, la ore lavorate, il numero di datori di lavoro e la soddisfazione per questo tipo di modalità lavorativa. Su questo ultimo aspetto sono presentati anche alcuni dati sulla motivazione che sottende, spesso, al un basso numero di ore settimanali lavorate.
Ovviamente, è anche affrontato il tema delle retribuzioni, indagando anche i comportamenti in caso di spese improvvise.
Nel complesso, quindi, la prima parte del documento dà una descrizione completa ed esclusiva dei lavoratori che affidano la loro forza lavoro alle piattaforme digitali.
Il secondo capitolo prosegue analizzando le richieste di protezione che provengono dai lavoratori stessi, ovvero quali coperture assicurative, certezze per il futuro, aiuti in caso di difficoltà, sono ritenuti più urgenti?
Sono quindi esaminati la percezione di utilità è l’intenzione a pagare (willingness to pay) per avere una pensione garantita, coperture in caso di incedenti sul lavoro, coperture in caso di malattia, aiuti in caso di mancato lavoro/disoccupazione, maternità, e altri tipi di supporti.
Qui sono confrontati i dati italiani, inglesi e statunitensi, che risentono ovviamente dei diversi sistemi di welfare.
La parte finale del rapporto si pone alcune questioni operative, lato istituzioni (ma anche utili per gli attori privati): come definire con certezza un lavoratore della gig economy in modo da offrire adeguate coperture e prevenendone gli abusi (magari da parte dei datori di lavoro)?
Quali sistemi di protezione assicurativa e di sostegno possono essere implementati anche considerando le basse remunerazioni?
A queste domande si risponde con alcune ipotesi di soluzioni, valutate nel dettaglio dei loro punti di forza e criticità.
Parola all’INPS
L’INPS, nel 2019, ha fatto il punto sulla situazione e ha avanzato alcune proposte per la tutela del riders. Qui la presentazione.
In tema di gig economy, se vuoi saperne di più su riders e sul mondo del food delivery puoi leggere Food delivery: i riders, il mercato, i consumi